Louise Desrenards on Tue, 17 Jun 2003 23:18:41 +0200 (CEST) |
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[nettime-fr] ! Toni Negri sort du silence après la guerred'Irak... ||| |
Une nouvelle revue en Italie et en ligne, celle de la mouvance autour de Toni Negri : Glabal magazine http://www.globalmagazine.org Dans le n°2, Toni Negri sort du silence après la guerre d'Irak ; ce n'est pas rien qu'il désigne la fracture de l'ordre mondial, car d'aucuns auraient pensé "Empire", son ouvrage co-signé avec Hardt, prescrit sur l'omission du potentiel de retournement central des Etats-Unis, et des prédictions des structures américaines dans les structures mondiales depuis plusieurs années. Au moment où les éditions Léo Scheer annoncent une critique de "Empire" par Anselm Jappe, dûment payée par l'éditeur à ce philosophe performeur, qui auparavant paraît s'être illustré lui aussi sur Debord (j'entends qu'avec Surya ils seraient donc deux, aux éditions LS) ‹ n'y a-t'il personne d'autre de Debord à Gramsci ? ‹ on voit bien comme la philosophie critique, a fortiori la métaphysique, est symboliquement morte à l'horizon de la commande manifeste. Jean Baudrillard et Gille Deleuze qui n'ont pourtant aucun rapport l'un avec l'autre, voir s'ignorèrent, avaient remarqué les premiers signes et annoncé cette disparition ouvrable. Peter Sloterdijk l'a confirmée forclose et ses ouvrages sont des recherches d'une autre matière de philosophie, interférente, singulière ‹ et créative ‹ qui ne contrarient pas les grands axes désignés par Deleuze... (quoique autres et sans le développer davantage). En fait, dans le débat ouvert récemment, c'est Paul Virilio qui aurait du être regardé davantage, vers le monde que nous paraissons soudain découvrir à retardement depuis le 11 septembre, sur la question des dispositifs techniques et des structures militaro-industrielles ‹ ce projet, cette puissance mondiale ‹ en regard de la société globale et des organisations supra-nationales après la guerre froide. Voici par Toni Negri soi-même : l'amorce d'une auto-critique de ³Empire" ? En tous cas on l'attendait... Je ne peux traduire l'italien même si comme d'autres je le comprends un peu... Vous vous y repérerez peut-être ? Mais je pense que cet article est un point d'information important pour le débat actuel, donc je l'envoie. in Global Magazine n.2 http://www.globalmagazine.org/indice.html (trace "RK mailing list" <[email protected]>) Louise D. « La frattura dell'ordine globale Il potere mondiale ora non si spartisce con nessuno. L'America di Bush liquida partner e alleati. Ma nella faglia può inserirsi il cuneo del movimento antiliberista Dopo la Guerra fredda, sembrava che l’unica superpotenza rimasta potesse organizzare l’Impero. Il dibattito era su come l’avrebbe fatto, se in maniera soft o in maniera hard, se multilateralmente o unilateralmente, se utilizzando e trasformando le strutture internazionali esistenti o travolgendole e costruendosene delle nuove. Basandosi sul buon senso ed avendo presente le tradizioni del costituzionalismo e dell’internazionalismo democratici, la gran parte degli osservatori, con realismo voltairiano, aveva pensato che l’amministrazione americana avrebbe scelto la prima strada, quella dello sviluppo continuo delle istituzioni mondiali fino a trasformarle in strutture della governance imperiale. Se nascevano preoccupazioni, su questo fronte, esse sorgevano dall’apprezzamento realistico dello sviluppo del grande movimento no-global di cui si sentiva l’opposizione crescente al neoliberismo farsi bandiera di vari strati della popolazione mondiale. Le cose non sono andate in questa maniera. Fortunosamente ascesa al potere, l’amministrazione Bush ha, da subito, da prima dell’undici settembre, scelto la via dell’organizzazione unilaterale dell’ordine globale. Nei primi mesi l’attenzione dell’amministrazione fu rivolta alla costruzione dello scudo stellare; contemporaneamente, gran parte delle trasformazioni proposte dall’Onu per formare normative globali adeguate al nuovo ordine del mondo fu, dall’amministrazione Bush, rifiutata e liquidata (dalle convenzioni ecologiche al riordino della giustizia penale internazionale). Dopo l’11 settembre questo comportamento s’ingaglioffì. La lotta contro il terrorismo fu trasformata, con realismo reazionario, in teoria e pratica della guerra preventiva. Alla illusione di una costituzione imperiale che, nel rispetto della molteplicità delle azioni e degli interessi, potesse cominciare a configurare un nuovo ordine mondiale (non certo rivoluzionario, solo corrispondente alle esigenze di una democrazia minima negli scambi di merci e di opinioni), l’amministrazione Bush oppose dispositivi di intervento, di repressione, di guerra, e, forse ancor peggio, nuovi criteri di giustizia (Guantanamo e le Corti di guerra) e di democrazia (il nation-building affidato ai generali dell’esercito Usa e ai Ganleiter locali) che non possono non richiamare i peggiori esempi dell’imperialismo ottocentesco e del totalitarismo novecentesco. A questo punto, la frattura s’è data. Non più semplicemente fra i vertici del potere imperiale e i movimenti antiliberisti globali, ma fra l’amministrazione Bush ed altre potenze statali, nazionali e continentali. La divisione fra l’interesse alla costruzione unilaterale dell’ordine globale e la volontà multilaterale di costruzione costituzionale dell’Impero s’è affermata con violenza. Per ricorrere ad un’immagine facile ma efficace si può dire che la costituzione imperiale rappresenta una sintesi di governo monarchico, rappresentanza aristocratica ed espressione democratica. Ora, l’amministrazione Bush tenta di escludere dal governo imperiale non solo le forze democratiche (come era naturale data la natura reazionaria di quel gruppo di potere) ma anche quelle aristocratiche. Francia, Germania, Russia, Cina, per parlare solo dei paesi che più si sono esposti nell’attuale frattura internazionale, non sono certo espressioni della rivoluzione democratica delle moltitudini: sono piuttosto solidi aggregati, antichi o nuovissimi, di interessi capitalistici nazionali e/o multinazionali. La frattura che, dopo Seattle e la nascita del movimento anti global, si era fissata sull’asse verticale del rapporto fra chi comanda e chi obbedisce, fra chi sfrutta e chi è povero e sfruttato, si complica così con una nuova variante, questa volta sull’asse orizzontale del rapporto fra potenze aristocratiche. L’amministrazione Bush vuole dominare la frattura dell’ordine mondiale con unilateralismo delle proprie iniziative e non si cura della «Veccha Europa» aristocratica nè delle potenze asiatiche dominate dalle «nuove» aristocrazie. Vi sono contraddizioni materiali o controtendenze politiche al quadro unilateralista che viene definendosi e dalla conseguente frattura? Ve n’è una, essenziale. L’amministrazione Bush non ha i mezzi della propria politica. Il mercato mondiale è troppo integrato perchè un monarca possa spendere soldi in guerra senza l’appoggio delle aristocrazie mondiali. Quanto al popolo americano non è disposto a mettere un dollaro nelle avventure dell’amministrazione Bush. Il suo patriottismo si ferma giustamente prima di toccare il portafogli. L’amministrazione Bush, d’altronde, è troppo corrotta e famelica da poter concedere qualcosa delle ricchezze che sta accumulando: in ogni caso non subito. Malgrado il malessere degli alleati come degli avversari della politica imperialista e unilaterale dell’amministrazione americana, dobbiamo dunque ritenere che la frattura su un periodo medio resisterà. Alla questione del finanziamento della guerra si aggiungono infatti altre questioni centrali: la costruzione dell’Europa e la forte concorrenza dell’Euro al Dollaro che gli Usa non possono sopportare; il consolidamento politico e militare della nuova Russia che minaccia la strategia bellica americana; il decollo dell’economia cinese che presto diverrà concorrenziale su tutti i mercati mondiali; la conquista di una certa autonomia dei governi democratici di paesi dell’America Latina che ormai rifiutano massicciamente il “Washington Consensus”. Abbiamo detto che la frattura verificatesi, dopo Seattle, sull’asse verticale del dominio mondiale, fra moltitudini e Impero, s’è moltiplicata sull’asse orizzontale del rapporto fra potenze capitaliste, divise nella prospettiva della costruzione di un governo imperiale. Abbiamo anche riconosciuto che questa frattura è di lungo periodo. Dobbiamo ora chiederci come il movimento di Seattle, dalla cui costola è nato il movimento pacifista mondiale, sta muovendosi e come dovrebbe muoversi all’interno della nuova frattura fra amministrazione Bush e potenze aristocratiche europee ed asiatiche. Come si stia muovendo è immediatamente evidente: esso ha colto la frattura dell’ordine mondiale fra grandi potenze con una buona nuova. Non ci sono state confusioni. Se il gesto di rottura di Chirac e Schroder è stata apprezzato, nessuno ne ha concluso alleanze con quei governi in questo stesso periodo impegnati in forti politiche di sicurezza quanto mai crudeli e/o di smembramento del Welfare. Ognuno di noi, nel movimento, sa che prima o dopo le aristocrazie imperiali raggiungeranno un accordo con la monarchia americana. Ma prima o poi, questo è il problema. L’interesse del movimento dei movimenti è che la frattura resti aperta il più a lungo possibile, e che, in questo periodo, sia possibile consolidare non solo il movimento, preservandolo da attacchi violenti e subitanei, non solo le alleanze che esso ha stretto con settori diversi della società (dalla Chiesa cattolica a gruppi molto larghi nel sindacato), non solo le simpatie politiche che attraversano ampi strati della popolazione europea: un lungo periodo di frattura permetterebbe di aprire e sviluppare azioni comuni della società civile e dei movimenti, per sconfiggere e comunque indebolire la politica dell’amministrazione Bush. È ad esempio sul terreno della costruzione europea che questa coincidenza d’interesse fra le aristocrazie e i movimenti può essere verificata, cosi come sta avvenendo in America Latina attorno alle iniziative del governo brasiliano di Lula e in coincidenza con l’indicazione di vie risolutive della guerra civile argentina. Ma soprattutto un lungo periodo di frattura permette al movimento globale antiliberista di sviluppare organizzazione, di allargare le reti, di formare nuovi movimenti e di fare interagire quelli esistenti. Il movimento dei movimenti, nella sua duplice figura, pacifista ed antiliberale, è costituente. Ma i processi costituenti sono difficili, prevedono condizioni che solo raramente si danno nella storia politica. Ora, la nuova frattura mondiale offre al movimento una condizione eccezionale. È dal 1948, da più di cinquant’anni, che le forze rivoluzionarie, le moltitudini, non hanno avuto la possibilità di riaprire il gioco politico su base mondiale, di scegliere non una tattica di sopravvivenza ma una strategia di radicale trasformazione e di assoluta democrazia. Oggi, ovunque, alcune decisive condizioni sono date. La nuova frattura potrebbe, per quelle intempestive ragioni che il processo delle lotte di liberazione è abituato a considerare, rivelarsi una grande occasione. Il colpo di stato di George W. Bush sull’Impero ha scombussolato profondamente la macchina del dominio capitalistico e, con tutta probabilità, i movimenti non sono stati estranei al fatto che il cervello capitalistico desse di matto. Ma sono finiti i tempi nei quali ci si poteva contentare dicendo: «ben scavato vecchia talpa!». Oggi, nella frattura, l’occasione costituente del movimento dei movimenti deve cominciare a produrre un programma politico antiliberale ed anticapitalistico; deve cominciare a costruire istituzioni della democrazia assoluta delle moltitudini; deve insomma mettere in moto un processo nel quale pace e giustizia vivono assieme. Il problema non sarà più nel medio periodo, quello di sfruttare la frattura dal punto di vista del movimento ma, a partire da questo, e solo da lui, costruire l’a-venire. A.N. »
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